Capitolo IX

 

Guelfi e Ghibellini

 

 

La restaurazione papale

Alla morte di Federico II l'Impero rimase vacante, dilaniato da lotte intestine: le città ghibelline della Marca pertanto conclusero la pace con il papa e lo riconobbero come loro signore, ma le condizione che dovettero accettare furono piuttosto dure e ciò suscitò nuovo malcontento[1]. La restaurazione del potere pontificio non cambiò comunque la situazione rispetto ai cinquant'anni precedenti: i vari comuni continuavano la lotta per il controllo, o l'ampliamento, del contado; erano agitati al loro interno da opposte fazioni; si opponevano, quando possibile, ai rappresentanti della Curia nella regione, che pretendevano il rispetto dei patti sottoscritti[2]. I rettori non potevano esercitare il loro potere con una qualche efficacia anche per la debolezza del potere centrale; essi rimanevano in carica per un numero esiguo di anni, talvolta per pochi mesi, spesso richiamati a causa delle proteste che le comunità locali inoltravano a Roma.

Una delle zone di maggiore tensione in questi anni era la vallata del Metauro, dove si riaccese il consueto contrasto tra Fano, a cui per l'occasione si era alleata Jesi, e Fossombrone[3]: i Fanesi, tra la fine 1255 e l'inizio del 1256, assalirono e saccheggiarono la città rivale, il che scatenò l'ira del Rettore che intentò un processo contro il comune di Fano e lo condannò a pagare tremila lire ravennati[4]. Nel 1258 fu la volta dei Fossombronesi che, approfittando dell'arrivo delle truppe di re Manfredi, saccheggiarono Isola di Fano e distrussero Montefelcino, conservandone il possesso fino all'inizio del secolo successivo[5].

A Cagli i problemi erano soprattutto interni: nel 1258 i Cagliesi, in preda alle discordie civili, cedettero il governo della città, per il tempo necessario a sistemare la situazione, ai Perugini[6].

Lotte e reciproci saccheggi aveva interessato in quegli anni anche la provincia di Massa Trabaria[7] e le zone circostanti, dove era in atto una violenta politica di espansione del comune di Città di Castello; fu firmata finalmente la pace generale nel 1256: i Tifernati riuscirono a mantenere sotto il loro controllo una zona piuttosto ampia al di qua degli Appennini[8].

 

Percivalle Doria conquista la Marca (1258-59)

Nel 1258 il re di Sicilia, Manfredi (figlio di Federico II e capo dei ghibellini italiani), nomina Percivalle Doria[9] vicario di Marca, Ducato di Spoleto e Romagna; subito costui cercò di ad occupare la nostra regione dove il malcontento era elevato a causa dei tributi imposti dalla curia rettorale alle varie città[10].

La risposta del rettore Annibaldo di Trasmondo non si fece attendere e fu subito convocato, a Fano, il 16 gennaio 1259, un parlamento delle città della Marca. Ad esso  però parteciparono solo i rappresentanti di Fano, Senigallia, Cagli, Camerino e Osimo[11]: tutte le altre città erano già passate dalla parte di Manfredi e del suo vicario. Il dominio del rettore si assottigliò ulteriormente nei mesi successivi: i Fanesi si consegnarono al Doria nel febbraio 1259 ottenendone in cambio un amplissimo diploma di concessioni[12]; Camerino venne presa, saccheggiata ed incendiata il 12 agosto dello stesso anno[13]. Alla fine del 1259 solo Cagli e Ancona, in tutta la Marca, erano ancora in mano al partito papale[14].

Anche nel resto dell'Italia centrale i ghibellini, sostenuti da Manfredi, prendevano il sopravvento: è del 4 ottobre 1260 la celebre battaglia di Montaperti, in cui i Senesi e gli estrinseci fiorentini, guidati da Farinata degli Uberti, inflissero una sanguinosa sconfitta alle truppe della guelfa Firenze.

 

La guerra negli anni 1261-1266

Dal 1261 la situazione del partito guelfo migliorò in quanto i nuovi rettori pontifici, Manfredo de Robertis prima e Simone Patrinieri poi (dal 1264), riuscirono a portare dalla propria parte un buon numero di comuni marchigiani, a cui probabilmente non sembrava vero poter di nuovo ottenere concessioni e privilegi dalle due parti in lotta: Osimo, Camerino, Cagli, Treia, Fano, Pesaro, San Ginesio militano nel 1261 nel partito papale[15]. Resisteva comunque una ampia area ghibellina all'interno della nostra provincia, che faceva capo alle città di Fossombrone, Cagli, Urbino (oltre a S. Leo in Romagna, e a Città di Castello in Umbria)[16].

Ma ormai, chiamato dal papa, l'esercito di Carlo d'Angiò stava scendendo nel Meridione contro re Manfredi. Una parte dell'esercito angioino, diretto a sud, transitò nella nostra provincia nel dicembre 1265: i francesi furono accolti onorevolmente a Pesaro, con molta meno simpatia a Fossombrone[17], dove furono anche fatti oggetto di una "crudele malizia", che però non sappiamo quale sia stata[18].

La battaglia di Benevento (26 febbraio 1266), in cui Manfredi morì, segnò un grave colpo per il movimento ghibellino in Italia centrale. Essa fu seguita poi, a distanza di due anni, da quella di Tagliacozzo, in cui fu sconfitto, da Carlo d'Angiò, Corradino di Svevia: la bilancia pendeva decisamente a favore della Curia.

 

Il periodo 1266-80

Il papa poteva ora contare sul sostegno di Carlo d'Angiò e sulla vacanza del trono imperiale: la sorte dei ghibellini marchigiani, a cui nessuno avrebbe portato sostegno, sembrava segnata. Già il 10 luglio 1266 Clemente IV scriveva al legato della Marca perché agisse contro gli Urbinati come riteneva opportuno: egli non si sarebbe più commosso alle loro parole[19] .

Tuttavia il blocco ghibellino delle città dell'interno era forte e radicato, e aveva uno dei suoi principali leader in Guido da Montefeltro, attivo in quegli anni in Romagna, nella Marca, in Toscana[20]. Inoltre esso fu rafforzato dalla debolezza degli avversari: dopo la morte di Clemente IV (29 novembre 1268), con il successivo lungo conclave che si prolungò addirittura per due anni e dieci mesi, la situazione restò instabile ed ampie zone dell'Italia centrale, compresa la nostra provincia, sfuggivano al controllo del blocco guelfo-angioino.

Malgrado gli sforzi del nuovo papa[21], che mirava ad una pacificazione generale più che ad un sostegno incondizionato al partito guelfo, la situazione nel 1273 si deteriorò, soprattutto in Romagna (ma le vicende di quella regione avevano ripercussioni anche nella nostra), dove si scontrarono ferocemente, fino al 1278-79 le fazioni guelfe e ghibelline[22].

Nella nostra provincia rimaneva in mano ai ghibellini Urbino, sebbene la curia papale e quella rettorale cercassero in questi anni inutilmente di riportare la città sotto il loro  controllo[23]. Nella lotta intervennero anche i Malatesta di Rimini (tradizionalmente guelfi). A Monteluro (20 giugno 1271), nella quale "le truppe di Malatesta da Verucchio che stavano cingendo d'assedio il castello, evidentemente in mano ad una famiglia legata al partito filoimperiale (i Bandi?), furono messe in fuga dall'impeto di Guido di Montefeltro intervenuto a difesa degli alleati. Il conte già stava esortando i suoi all'assalto della città quando, caduto da cavallo, fu catturato dai soldati malatestiani"[24]. Il conte Guido fu poi liberato, dopo aver pagato un forte riscatto. Finalmente il Montefeltro fu pacificato nel 1276: sono menzionati negli atti sia la fazione filopapale, comprendente la città di Rimini con i Malatesta, i signori del castello di Piega, gli estrinseci di S. Marino, S. Agata e Cesena, sia, tra i ghibellini, il conte Guido e gli intrinseci di S. Marino e S. Agata[25].

Poco dopo era in armi Fossombrone. La rivolta, iniziata del 1277, proseguì per alcuni anni. Su di essa siamo però poco informati, dovendo basarci solo sui riferimenti in documenti di città marchigiane, che ricordano i contributi imposti dalla Curia alle varie comunità per assoldar gente armata da impiegare contro Fossombrone. La rivolta, probabilmente ampliatasi per l'intervento di ghibellini di città vicine, fu domata con difficoltà[26]: Vernarecci presume che sia stata sconfitta "negli ultimi nel 1279 o nei primi del 1280"; in realtà ancora nel 1281 il nuovo rettore della Marca, Amelio di Courban, imponeva nel parlamento provinciale in Tolentino l’usuale tributo raddoppiato per domare la ribellione di Fossombrone[27].

Nello stesso periodo (1277) fu distrutto dagli Urbinati, guidati dal conte Galasso di Montefeltro, Castel delle Ripe, mentre gli abitanti del luogo si trovavano alla fiera di S. Angelo. Il centro fu poi riedificato e inaugurato il 1 settembre 1284 con il nome di Castel Durante, dal nome di Guglielmo Durante, rettore di Romagna e della città e contado di Urbino, che aveva curato la ricostruzione[28].

Vari scontri interessarono anche il Montefeltro meridionale, ai confini con la Massa: intorno al 1278 il rettore di Massa Trabaria occupò vari castelli del Montefeltro e si scontrò con i Tifernati, che furono per l'occasione scomunicati, per il possesso di alcune comunità che, secondo lui, appartenevano alla Massa Trabaria. La controversia si trascinò per alcuni anni[29].

 

La guerra contro i ghibellini negli anni 1280-1285

La situazione nella Marca peggiorò ulteriormente con la morte (22 agosto 1280) di Niccolò III e con l'elezione al soglio pontificio, il 22 febbraio 1281, di Martino IV, francese e devoto a re Carlo d'Angiò[30]. Una violenta guerra in questi anni interessò sia la Romagna (dove si concluse nel 1283), sia la nostra provincia (fino al 1285), e vide l'impresa bellica più importante nell'assedio di Urbino.

Alla morte di Niccolò III il rettore di Romagna, Bertoldo Orsini, perse completamente il controllo della situazione e, mentre cominciavano i primi scontri, abbandonò precipitosamente la provincia[31]. Il nuovo papa, avendo visto che la politica di pacificazione tra le fazioni tentata dai suoi predecessori non aveva dato i risultati sperati, pretese la  resa incondizionata dalle forze ghibelline, che naturalmente si prepararono allo scontro.

Il fuoco della rivolta si estese ben presto alla Marca, dove c'era un nutrito blocco di città ghibelline[32] e dove agiva Guido da Montefeltro, capo della fazione sia nella Romagna sia nella Marca. A fare la spesa della violenta contrapposizione in atto fu, nel 1281, il conte Taddeo di Montefeltro-Pietrarubbia, cugino di Guido, che, assunto il comando dell'esercito ecclesiastico, vide i suoi castelli nella regione saccheggiati ed arsi dai ghibellini del Montefeltro[33].

Nell'anno successivo i ghibellini romagnoli, guidati da Guido, riuscivano a infliggere una tremenda sconfitta, il 1 maggio, a Forlì alle truppe angioine accorse in aiuto del partito guelfo romagnolo. Tra i caduti anche il conte Taddeo[34]. L'anno fu tremendo per il partito guelfo: poco prima era anche andata perduta, con la rivolta dei Vespri, la Sicilia.

Nella Marca le operazioni si concentravano attorno a ad Urbino, roccaforte dei Montefeltro: il 10 marzo 1282 il papa scriveva ai comuni di Iesi, Senigallia, Pesaro, Fossombrone, Fermo, Ascoli e al rettore della marca Siffrido affinché portassero aiuto al legato, vescovo di Porto, impegnato ad prosternandam elatam superbiam Urbinatum[35]. Il partito ecclesiastico ottenne, nella seconda metà dell'anno, anche un successo: gli abitanti di S. Leo si rivoltarono contro i Montefeltro, cacciarono i Ghibellini dalla città, imprigionarono Ugolino, figlio del conte Guido e preposto al Capitolo feretrano, insediarono con la violenza nella cattedra vescovile un figlio del conte Taddeo[36]. Nel frattempo i guelfi di Urbino, cacciati dalla città, si erano fortificati a Sassocorvaro, sul confine del territorio urbinate, da dove cercavano di respingere gli assalti dei loro avversari[37].

La situazione della forze ghibelline nella nostra provincia si fece critica nel seguente 1283, anche perché nel frattempo il pontefice aveva inviato uomini e mezzi all'esercito ecclesiastico di Romagna che riuscì, tra primavera ed estate 1283, a scardinare il fronte ghibellino e occupare le città di Cervia, Forlì e Cesena[38]. Fu giocoforza per le truppe ghibelline abbandonare gran parte della Romagna e concentrare la resistenza nel Montefeltro e, nella Marca, ad Urbino: in questo periodo il papa si decide a togliere agli Urbinati ogni privilegio e ogni potere sul contado che sarebbe stato amministrato da quel momento da funzionari ecclesiastici[39]; ciò spinse varie famiglie feudali dell'Urbinate a scendere decisamente in campo a sostegno del blocco guelfo[40].

Le operazioni di guerra si svolgevano intorno a Urbino, assalita dalle milizie ecclesiastiche, e a Sassocorvaro, in cui si erano rinchiusi i guelfi urbinati, soccorsi in qualche modo dai Riminesi[41]. Giunsero inoltre a dar man forte alle milizie del Legato papale, nell'autunno 1283, truppe di re Carlo, guidate da Guido di Monfort[42].

 

Capitolazione di Urbino

La situazione della città era pertanto insostenibile e, anche se i ghibellini ottennero qualche successo (nel giugno 1284 furono messi in fuga con gravi perdite i soldati ecclesiastici che cercavano di prendere la città)[43], l'esito della guerra, nella quale era evidente la disparità delle forze, era scontato: gli Urbinati sarebbero stati anche disposti a sottomettersi alla Curia, ma l'atteggiamento rigido del papa, che non era disposto a nessuna concessione nei confronti dei ribelli, protraeva la resistenza. Tuttavia  morirono, all'inizio del 1285, sia re Carlo d'Angiò (6 gennaio), sia Martino IV (28 marzo). Fu inoltre eletto nuovo papa, il 2 aprile, il cardinale Jacopo Savelli, che assunse il nome di Onorio IV: di famiglia "ghibellina", era un moderato, favorevole ad una pacificazione generale nello Stato della Chiesa[44]. A lui si arrese Guido da Montefeltro, che fu confinato a Chioggia, da dove successivamente raggiunse Asti, ospite del marchese di Monferrato[45]; i suoi consanguinei cercarono scampo presso capi ghibellini dell'Appennino; nel Montefeltro si affermò il potere del ramo guelfo della famiglia Montefeltro, costituito dai Pietrarubbia, che avevano militato per la Chiesa nella recente guerra; Urbino fu direttamente amministrata dalla Curia (e in città ebbero un posto di primo piano i Malatesta e i loro fautori): ciò ferì i Pietrarubbia, che avevano, o pretendevano di avere, diritti sulla città[46].

 

I Malatesta nella Marca

In quegli anni i Malatesta rafforzarono il loro potere all'interno del comune di Rimini e attuarono una politica di espansione, oltre che in Romagna, nella Marca: appoggiarono, come visto, i guelfi di Urbino; ottennero, nel Pesarese, l'importante castello di Gradara[47], a loro ceduto dalla famiglia Del Griffo; inoltre anche Pesaro, da questo momento, entra nella loro zone di influenza[48].

Tuttavia avevano vari potenti nemici, tra cui la famiglia dei Montefeltro-Pietrarubbia, gelosa del ruolo egemone che la famiglia riminese aveva assunto nel comune di Urbino, e il conte di Romagna, Pietro di Stefano che, avendo l'intenzione di portare in po' d'ordine in quella regione, non poteva tollerare il comportamento disinvolto di Malatesta da Verucchio, che nel 1287 gli si era ribellato apertamente[49]. Approfittando della tensione che divideva lo schieramento guelfo, la fazione antimalatestiana riuscì, il 5 maggio 1288, a spingere alla ribellione Rimini: la guerra tra le opposte fazioni cittadine, con continui scontri, incendi e depredazioni, interessò il contado (in parte occupato dai Malatesta) negli anni seguenti e terminò solo con una pacificazione firmata il 28 marzo 1290[50]. Il mese dopo, approfittando di una sommossa popolare, i Malatesta rientravano in città[51].

 

Distruzione di Cagli (settembre 1287)

Nel frattempo violenze e conflitti interessavano anche la nostra provincia. Se Urbino era stata "pacificata" (ma era forte la tensione tra i Pietrarubbia e i guelfi urbinati amici dei Malatesta), divenne esplosiva la situazione di Cagli, coinvolta in sanguinose lotte intestine.

Nel settembre 1287 cercarono di prendere con la violenza il potere i ghibellini, guidati da Trasmondo e Puccio Brancaleoni di Rocca Leonella. Scoppiò subito una violenta zuffa per le vie cittadine e qualcuno ebbe la pessima idea di dar fuoco al Palazzo Comunale; le fiamme, alimentate da un forte vento, si diffusero nelle case vicine e, in poco tempo, la città fu ridotta ad un cumulo di macerie. Con l'aiuto della Curia e di Giovanni Colonna, rettore della Marca, si procedette nell'anno successivo all'edificazione della nuova città, per la quale fu scelto un sito solo parzialmente coincidente con quello della città distrutta, Piano di S. Angelo. Contribuirono all'edificazione del nuovo centro, che prese il nome di S. Angelo Papale, tutte le città della Marca, della Massa Trabaria e la città di Gubbio[52].

 

Corrado da Montefeltro occupa Urbino (1289)

I rapporti tra Montefeltro-Pietrarubbia e guelfi di Urbino, sostenitori dei Malatesta (in questi anni alla presa con la feroce guerra nel contado di Rimini), erano pessimi. Corrado da Montefeltro, capo della casata, nell'estate del 1289 portò le armi contro Urbino, che occupò scacciando i guelfi (alla cui fazione lui stesso aveva, fino a quel momento, appartenuto) e richiamando in patria i ghibellini[53].

Intervenne subito il rettore della Marca, Giovanni Colonna, che ordinò al conte Corrado di consegnare la città alla Chiesa e, non avendo ottenuto risposte, mosse con un esercito contro Urbino che, il 23 settembre 1289, si arrendeva[54]. Per qualche tempo i Pietrarubbia caddero in disgrazia; poi, nell'agosto 1290 Corrado riusciva a rientrare nell'obbedienza della Sede Apostolica, avendo deciso il papa di tener conto della fedeltà della sua famiglia alla causa guelfa[55].

 

Insurrezione della Romagna contro il Rettore (1290-93)

Un rovesciamento delle posizioni nella provincia, e il ritorno del ramo ghibellino della famiglia Montefeltro a Urbino, si ebbe solo nel 1293, dopo che le famiglie guelfe di Romagna (Malatesta di Rimini e Polentani di Ravenna), insofferenti del rigido controllo che il Rettore voleva imporre sulle città, avevano spinto la regione alla ribellione: nelle notte tra 11 e 12 novembre 1290 il rappresentante papale fu imprigionato con tutto il suo seguito dai Da Polenta; Malatestino ottenne la podesteria di Ravenna; i comuni in rivolta occuparono Forlì e gli altri centri fedeli alla Curia[56]. La situazione rimase confusa anche nei restanti anni, per l'intervento in Romagna, contro i Malatesta, dei ghibellini aretini e per la morte del papa, avvenuta il 4 aprile 1292[57].

 

Guido da Montefeltro occupa  Cagli e Urbino (1293)

Nell'estate 1293 ricomparve nella nostra provincia il conte Guido da Montefeltro che, allontanatosi da Asti, aveva nel frattempo combattuto i guelfi in Toscana. Da Arezzo si diresse verso Cagli e, alla fine dell'agosto, con l'appoggio dei consanguinei Galasso (cugino di Guido, podestà di Arezzo) e Corrado (che aveva rinnegato una seconda volta la politica filoguelfa della sua famiglia), occupò di sorpresa quella città[58]. Fu la volta quindi di Urbino che, nel 1294, ritornò sotto controllo feltresco[59].

La presa di Urbino da parte dei feltreschi segnò un'escalation nella guerra tra Malatesta e loro fautori da una parte, Montefeltro e loro aderenti dall'altra. Il 18 giugno 1294 Malatestino Malatesta, podestà di Cesena, assalì Urbino, da poco riconquistata dai Montefeltro, ma i Romagnoli non poterono prendere la città e dovettero fermarsi, senza ottenere risultati, intorno a Monte Fabbri[60]. Nel frattempo Galasso e Corrado non perdevano tempo e, con le loro forze e con quelle dei ghibellini di Cesena, riuscirono ad occupare la città di Pesaro, da qualche anno entrata nell'orbita malatestiana[61]; occupavano quindi vari castelli nei contadi di Pesaro e Fano[62]. Nello stesso anno è ricordata una sconfitta di Malatestino subita da parte dei Fanesi presso il torrente Arzilla[63]. Poco dopo anche Cesena cadeva in mani ghibelline.

 

Pacificazione

Nel frattempo, dopo il breve pontificato di Celestino V (agosto-dicembre 1294), era stato eletto papa Bonifacio VIII (24 dicembre 1294). I due pontefici avevano cercato di pacificare Romagna e Marca: nella prima regione furono ripristinati i diritti di Rimini (annullati durante la rivolta del 1290) e annullate le condanne contro i Malatesta, che erano state loro inflitte nel 1287-88 (non per questo cessò la tensione nei successivi anni, motivata soprattutto da questioni fiscali, tra la famiglia riminese e i funzionari papali)[64].

I Montefetro, che avevano fatto atto di sottomissione a Celestino V il 1 ottobre 1294[65], firmarono, alla fine del 1295, una pace onorevole con la Curia papale, in base alla quale i primi riconoscevano la diretta sovranità della Chiesa e restituivano castelli e luoghi che avevano occupato nei contadi di Urbino, Pesaro e Cagli; la seconda affidata alla famiglia comitale feltresca la custodia civitatis delle città restituite, cioè i diritto di porre presidi nelle città  e nel contado e di effettuare operazioni di polizia (mentre la nomina dei podestà era di competenza del pontefice)[66]. Fu quindi realizzato ad Urbino un condominio tra Curia e famiglia comitale; quest'ultima vide però in qualche modo limitati i poteri di cui precedentemente godeva nella città, dove sicuramente tensioni e frizioni tra appartenenti alle due fazioni non dovettero in quegli anni mancare.

L’opera di Bonifacio VIII riguardò anche le città di Senigallia e Fossombrone: in due lettere del 23 marzo 1325 esorta il proprio cappellato, Riccardo da Fermentino, a mettere pace  nelle due città[67].

 

I Malatesta signori di Rimini e di Pesaro (dicembre 1295)

La guerra tra Montefeltro e Malatesta riprese di lì a poco: i secondi, "con un atto d'insigne slealtà"[68], attaccarono di sorpresa, il 13 dicembre 1295 i loro avversari riminesi Parcitadi, uccidendone alcuni e spingendone altri alla fuga. Il rettore di Romagna Guglielmo Durante, che si trattenne a Rimini dal dicembre 1295 all'aprile 1296, appoggiò il "golpe" e ratificò le condanne dei ghibellini riminesi[69]. Contemporaneamente Gianciotto riusciva ad occupare Pesaro: da questo momento ricoprì la carica podestarile nella città marchigiana fino alla sua morte[70]. I domini malatestiani nel Pesarese furono poi incrementati da Bonifacio VIII che, nel 1299, concedeva al Da Verucchio tutti i beni di Bernardo Bandi di Montecchio, aderente ai Colonna, suoi avversari[71].

Era evidente che la Curia, davanti alla guerra aperta che si prospettava in Romagna e nella Marca, aveva fatto una scelta di parte: non mirava più alla pacificazione fra i due partiti ma appoggiava decisamente la fazione guelfa con l'intenzione di annientare quella ghibellina. Lo speciale nunzio di Bonifacio VIII, Guido vescovo di Pavia, inviato nel febbraio 1296 a pacificare la Romagna, gettò benzina nel fuoco cassando tutte le sentenze del precedente conte di Romagna, in virtù dei quali i ghibellini romagnoli avevano avuto la restituzione dei beni, e depose alcuni capi ghibellini dagli incarichi che stavano ricoprendo in varie città[72]. La guerra a questo punto era inevitabile e insanguinò la Romagna per diversi anni[73].

 

La fine dei Montefeltro-Pietrarubbia (1298)

La guerra interessò anche le zone montane settentrionali della nostra provincia (il Montefeltro). L'episodio più importante è la rivolta di Pietrarubbia che annientò, dal punto di vista politico, il ramo omonimo della famiglia di Montefeltro.

Corrado si era ormai apertamente schierato con la fazione ghibellina, alla quale appartenevano i suoi parenti Guido (ritiratosi dalla vita politica ed entrato nell'ordine dei Frati Minori nel 1296)[74] e Galasso (podestà di Cesena dal 1296 al 1300). La politica ghibellina spiaceva sicuramente ad alcuni suoi aderenti; forse gli fu fatale il sostegno offerto al conte Galasso che, nel maggio 1298, espugnò il castello di Piega, nel Montefeltro dove uccise, dando prova di straordinaria crudeltà, diversi notabili e difensori del luogo[75]. Per questi o per altri motivi l'8 giugno 1298 gli abitanti di Pietrarubbia gli si ribellarono e trucidarono tutta la sua famiglia: il conte Corrado, un suo figlioletto, i fratelli Filippo e Giovanna. Solo la moglie, Costanza dei Ravegnati di Ravenna, fu risparmiata ma tamdiu sub custodia tenuerunt, donec certi effecti sunt, quod praegnans non erat[76].

 

Ultime operazioni di guerra e pacificazione del Montefeltro

Dopo la conquista di Piega (1298), Galasso nel 1300 condusse ancora i Cesenati nel Montefeltro, contro il castello di Uffogliano che, dopo tre settimane di assedio, si dovette arrendere[77]. Fu quindi firmata una pace col vescovo di S. Leo (17 maggio 1300)[78], dopo la quale possiamo registrare solo operazioni di secondaria importanza. Un tentativo di occupare Gubbio, effettuato il 23 maggio 1300, di Galasso, Federico da Montefeltro, Uberto Malatesta conte di Ghiaggiolo ed Uguccione della Faggiola fallì dopo circa un mese per il deciso intervento dei Perugini, di  Cante dei Gabrielli e per la reazione della Curia[79], che inviò nella Marca d'Ancona e nel Ducato di Spoleto, con la dignità di legato della sede apostolica, il cardinal Napoleone Orsini, di famiglia ghibellina. Egli, nel periodo della sua legazione (maggio 1300 - giugno 1301), cercò di pacificare la regione, riorganizzare la Curia della Marca, affermandone i diritti contro le usurpazioni politiche e giurisdizionali dei comuni; cercò anche di eliminare gli abusi che funzionari minori della Curia commettevano ai danni dei provinciali[80].



[1]L. ZAMPELLI, Federico II, Manfredi e Percivalle Doria nella Marca d'Ancona, in "Atti e Memorie di Storia Patria per le  Marche", serie IV, vol. VII (1930), pag. 146.

[2]Zampelli, Federico II, p. 147. J.F. LEONHARD, Ancona nel Basso Medio Evo, Bologna 1992, p. 119: "In questi anni non si ebbe un consolidamento della situazione politica a vantaggio della curia: la Marca continuò a restare "volubilis" dal momento che almeno i comuni maggiori intendevano continuare anche adesso una politica estera autonoma, finalizzata innanzitutto ad un ampliamento del contado. Mutava soltanto la tattica: le città non potevano più, come per il passato, realizzare i propri interessi comunali con la tattica del barcamenarsi tra le due potenze, papato e impero, ma dovevano adeguare la loro politica estera, in cui si inseriva sempre di più l'amministrazione papale, alle nuove condizioni".

[3]G. VERNARECCI, Fossombrone dai tempi antichissimi ai nostri, vol. I, Fossombrone 1903, p. 256: "Il 2 agosto 1255 fu stretta una lega tra Fano e Jesi: i due comuni giurarono a vicenda di mantenere il patto, di darsi la mano in ogni bisogno, di offendere pro posse i comuni nemici ". E' ricordato dalle fonti, nel 1255, un assedio di Fano ad opera di Pesaresi e Senigalliesi conclusosi con la liberazione della città ad opera di milizie jesine (P.M. AMIANI, Memorie istoriche della città di Fano, Fano 1751, vol. I, p. 208; ma vds. M. FRENQUELLUCCI, Alle origini del comune, Pesaro, 1999, p. 131: "la... storia sembra riecheggiare troppo vicende accadute oltre un secolo prima").

[4]Vds. anche la lettera di Alessandro IV, che comanda a Rolando rettore della Marca che i Fanesi, già sottoposti a condanna, non siano oltre molestati da Fossombronati (Amiani, Memorie istoriche, vol. II, parte III, pag. LII). La lettera, datata dall'Amiani 1255 e nel testo XV Kalendas Junii Pontificatus nostri anno secundo, è in realtà del 1256, dato che il secondo anno di pontificato di Alessandro IV, eletto e consacrato nel dicembre 1254, va dal dicembre 1255 allo stesso mese del 1256. Il maggio menzionato nella data della lettera è pertanto sicuramente quello del 1256. Tale errore ha fatto spostare tutta la narrazione della vicenda, nell'Amiani, all'anno precedente.

[5]Vernarecci, Fossombrone, I p. 257.

[6]F. BRICCHI, Annali della Città di Cagli, vol. I, Urbino 1641, p. 117. Perugia, ostile a Gubbio, aveva già una testa di ponte oltre Appennino a Sassoferrato; anche Cagli si era rivolta alla sua protezione nel 1219 e 1235 (V. VITALI, Sassoferrato, il castello e il  territorio dalle origini all'età comunale (sec. XI-XIII), Sassocorvaro 1999, pp. 110 e 116.

[7]Sulla Massa Trabaria vds. F.V. LOMBARDI, Le torri del Montefeltro e della Massa Trabaria, Rimini 1981, pp. 11-16. I confini, descritti in un diploma di Ottone IV del 7 ottobre 1209, sono discussi da V. LANCIARINI, Il Tiferno Metaurense e la Provincia di Massa Trabaria - Memorie storiche, Roma 1890-1912 (ristampa anastatica, S. Angelo in Vado, 1988), pp. 189-199. La Massa Trabaria  era una provincia montana situate sulle alte vallate di Marecchia, Foglia e Metauro. Sorta probabilmente intorno alla metà del XII secolo, dipendeva direttamente dalla Santa Sede: comprendeva l'area di influenza dell'Abbazia di S. Angelo dei Tedaldi (Badia Tedalda) e i  plebati di Sestino, Belforte (Folea), Mercatello (Ico) (Mercatello) e S. Angelo in Vado, in una zona di confine tra le diocesi di Montefeltro, Urbino e Città di Castello. Essa "era una specie di federazione di molte piccole comunità rurali autonome sotto la sovranità della Santa Sede, con l'amministrazione di un rettore, nominato direttamente dal papa e che al papa rispondeva del suo operato. Ogni comunità aveva il suo capitano, i suoi consoli, il suo consiglio, le sue milizie: ogni università il suo rappresentante" (Lanciarini, Tiferno, p. 211).

[8]F.V. LOMBARDI, La contea di Carpegna, Urbania 1977, p. 257; Lanciarini, Tiferno, pp.  247 (pace tra Carpegna e Città di Castello), 229-230 (pace tra Città di Castello e Massa Trabaria), 1251 (sottomissioni a Città di Castello)

[9]Zampelli, Federico II, p. 160: è incerto se il vicario di Manfredi si chiamasse "Doria" (famiglia genovese) o "D'Oria" (= Da Oria, presso Otranto).

[10]Leonhard, Ancona, p. 120.

[11] Per l'appartenenza di Fano alle città fedeli alla Chiesa vds. anche lettera di Alessandro IV in ringraziamento dell'assistenza e sussidi prestati ad Annibaldo rettore della Marca contro i Ribelli della Chiesa, datata octavo Kalendas Septembres Pontificatus nostri anno quarto (1258), e la lettera dello stesso pontefice, con stessa data, inviata ai Bolognesi perché prendano l'arme in aiuto del Rettore della Marca, Fanesi e Senigagliesi contro gli Iesini e gli altri ribelli della Chiesa, in Amiani, Memorie istoriche, vol. II, parte III, pag. LIII-LIV e LIV.

[12]Il diploma di Princivalle Doria, vicario generale della Marca di Ancona, Ducato di Spoleto e Romagna, a favore dei Fanesi del 16 febbraio 1259 è im Amiani, Memorie istoriche, vol. II, parte III, pp. LIV-LVI. Vds. anche Vernarecci, Fossombrone, I, p. 257; R. BERNACCHIA, Politica e società a Fano in età medievale (secoli VI-XIII), in AAVV, "Fano medievale", Fano, 1997, pp. 11-40, a p. 32; Zampelli, Federico II, p. 168.

[13]Zampelli, Federico II, p.168.

[14]Leonhard, Ancona, p. 156.

[15]Leonhard, Ancona, pp. 121 e 156. Nell'aprile 1263 Fano trattava un'alleanza con il comune di Rocca Contrada (Arcevia), contro Jesi, Serra dei Conti e Sassoferrato, fedeli al re di Sicilia. I fanesi, nonché i pesaresi, furono perciò nel successivo mese di luglio lodati dal pontefice Urbano IV ed esortati a resistere agli avversari della Chiesa (Bernacchia, Politica e società, p. 32; Amiani, Memorie istoriche, vol. II, parte III, pp. LVI-LVII: lettera di Urbano IV in ringraziamento degli aiuti prestati alla Chiesa dai Fanesi, datata Idibus Julii Pontificatus nostri anno secundo).

[16]G. FRANCESCHINI,  I Montefeltro, Varese 1970, p. 52. Cagli si sottomise al papa nel giugno 1263 (Bricchi, Annali, pp. 127-132).

[17]Nell’intimazione alle città  che parteggiavano per re Manfredi del rettore cardinal Simone di San Martino (10 maggio 1265)  figura, unica città della nostra provincia, Fossombrone (M. LEOPARDI, Annali di Recanati, Loreto e Portorecanati, Recanati 1993, p. 32).

[18]A. CARILE, Pesaro nel Medioevo, in  AAVV, "Pesaro tra Medioevo e Rinascimento", Venezia 1989, pp. 3-54, a pag 37. Per Fossombrone vds. Franceschini, Montefeltro, p. 51.

[19]G. FRANCESCHINI, Documenti e regesti per servire alla storia dello Stato d'Urbino e dei conti di Montefeltro, vol. I (1202-1375), Urbino 1982, n. 30, p. 39.

[20]Guido da Montefeltro, uno dei maggiori esponenti del ghibellinismo italiano, spinse Corradino a tentare, nel 1268, la sua sfortunata spedizione contro Carlo d'Angiò e ricoprì, in quell'anno, l'importante carica di vicario dell'Urbe.

[21]Il 1 settembre 1271 viene eletto Gregorio X, la cui consacrazione avviene però a fine marzo 1272.

[22]S. PARI, La signoria di Malatesta da Verucchio, Rimini 1998, pp. 107-113; Franceschini, Montefeltro, p. 95.

[23]Franceschini, Montefeltro, p. 77: "Già a più riprese il pontefice Gregorio X aveva cercato d'indurre la città di Urbino ed i conti di Montefeltro ad un atteggiamento conciliativo, astenendosi dal molestare i fedeli della Chiesa: il 9 maggio 1272 il papa aveva mandato maestro Guglielmo di S. Lorenzo, preposto della chiesa di S. Antonio di Piacenza, quale vicario spirituale della città di Urbino, perché gli Urbinati ab eorum insolentia resipiscerent. Ed ancora da Lione, il 15 marzo 1274, insisteva ammonendo Guido da Montefeltro, il comune di Urbino e quello di Fossombrone perché desistessero dalle violenze contro i fedeli della Chiesa".

[24]Frenquellucci, Alle origini, pp. 146-147. La notizia del Chronicon Placentinum è riportata da Frenquellucci, Alle origini, nota 370, p. 147: Die sabbati XX mensis iunii, comes Guido de Montefeltro, qui in Marchia Ancone rebellabat pro parte imperii contra Malatestam de Riminis qui partem Ecclesie et regis Karoli cum suis sequacibus de Marchia defendebat: qui cum esset cum hominibus Rimini in obsidione ciuiscdam castri de parte dicti Guidonis, ipse comes cum toto suo exfortio militum et peditum insultum fecit in ipsos fortiter et potenter et ipsos posuit in fugam et circa CC milites iam per eum et suos captos, cridavit: Ad civitatem! Ad civitatem! Et posuit se cum suis intra civitatem et illos de Riminis; et cum crederent habere civitatem, equus super quem sedebat cecidit in terram et captus ipse comes fuit ibi et quotquot cum eo erant capti sunt et mortui et ducti sunt in Riminis et sic victor a victo devictus est. Vds. anche Frenquellucci, Alle origini, p. 147: "Nel contesto qui considerato non può sfuggire la stretta relazione degli avvenimenti con la città di Pesaro, a cui molto più coerentemente che a Rimini si riferisce il grido del capitano ghibellino: Ad civitatem! Ad civitatem!".

[25]F.V. LOMBARDI, Mille anni di Medioevo, in AAVV, "Il Montefeltro", vol. 2 (Ambiente, Storia, arte nell'alta Valmarecchia), Villa Verucchio 1999, pp. 88-145, a pag. 130.

[26]Vernarecci, Fossombrone, I, p. 269.

[27]U. ALOISI, Sulla formazione storica del Liber Constitionum Sancte Matris Ecclesie (1357), in "Atti e Memorie di Storia patria per le Marche", nuova serie, vol. I (Ancona 1905), pp. 317-368, a p. 362.

[28]Lanciarini, Tiferno, pp. 230-2.

[29]Lanciarini, Tiferno, p. 242.

[30]Franceschini, Montefeltro, pp. 100 e 107: in aprile-maggio il papa nominava ecclesiastici francesi in tutte le cariche importanti dello Stato: il governo della Marca di Ancona e la Massa Trabaria furono affidate, il 7 maggio ad Amelio d'Angot, dei signori di Courban.

[31]Pari, Malatesta da Verucchio, p. 126.

[32]Vernarecci, Fossombrone, I, p. 270: "Nel 1280 Urbino, Città di Castello, Pesaro, Fano, Massa Trabaria, Fabriano, Sassoferrato notificarono per un araldo le rappresaglie da muoversi contro Cagli, fedele alla Chiesa". Vds. anche Bricchi, Annali, pp. 148-9: erano guelfe Gubbio e Cagli. Nel 1280 inoltre Guido da Montefeltro conquistò Senigallia: Leonhard, Ancona, p. 60. Ben presto diverse di queste città passarono comunque dalla parte ecclesiastica (vds. infra).

[33]Franceschini, Montefeltro, p. 109: "In quei mesi della primavera del 1281 (o forse l'anno successivo) van collocati gli eventi ricordati da un documento mantovano, che si riferiscono a vicende di quarant'anni prima, quando la città di San Leo guerreggiava contro il conte Taddeo, ed in quella stava Buonconte, figlio del conte Guido, ed in quel tempo furono dati alle fiamme Mercatello in Val Metauro e Pietrarubbia; ed a quella cavalcata partecipò anche Uguccione della Faggiola". L. TONINI, Storia di Rimini, vol III (1862), doc. n. CXXXIX (pp. 632-633) e CXL (p. 633) riporta due lettere di papa Martino IV, datate 9 e 13 ottobre 1281, nelle quali si proibiva a Malatesta il matrimonio di una sua figlia con un figlio di Guido da Montefeltro.

[34]Franceschini, Montefeltro, p. 103.

[35]Vernarecci, Fossombrone, I, p. 272. F. UGOLINI, Storia dei Conti e Duchi d'Urbino, Firenze 1859, vol.  I, p. 62: "Nel 1282 mentre combattevasi in Romagna, un altro condottiero di truppe pontificie, il conte Ruffo dell'Anguillara, assalì improvvisamente Urbino, che per la lontananza di Guido credeva di facile acquisto: ma la speranza gli fallì, perché i cittadini bravamente si difesero e lo stesso assalitore vi rimase ucciso; e benché sotto altro duce l'assedio proseguisse, dovete finalmente sciogliersi per la costanza e pel valore de' difensori, non abbandonati, ma segretamente soccorsi da Guido".

[36]Franceschini, Montefeltro, pp. 110-2: "S. Leo, Castelnuovo, Monte Fatogno, Talamello e gli estrinseci di Maiolo fecero atto di sottomissione alla Chiesa... Tutti i canonici che avevano eletto a preposto Ugolino furono per un certo tempo sospesi da Roberto dalla celebrazione dei riti e dal governo della chiesa feretrana". Lombardi, Mille anni, pp. 88-145, a pag. 106: "Naturalmente ogni comunità aveva due partiti e quindi non bisogna meravigliarsi se appena due anni dopo le sorti si erano rovesciate e se quindi il papa minacciava di nuovo l'interdetto contro i cittadini di San Leo, se non avessero rilasciato il vescovo Roberto che tenevano prigioniero".

[37]Vernarecci, Fossombrone, I, p. 270.

[38]Pari, Malatesta da Verucchio, pp. 136-137. Cervia e Forlì furono prese nel maggio, Cesena nel giugno.

[39]Pari, Malatesta da Verucchio, p. 138; Franceschini, Montefeltro, p. 107.

[40]In questi anni, se già non l'avevano fatto prima, defezionarono, dall'obbedienza che dovevano ai Montefeltro, i Brancaleone di Castel Durante, gli Oliva di Piandimeleto, i Bernardini di Sasso Corvaro e Torre Abbazia.

[41]Lo stesso documento in Tonini, Rimini III, n. CXLVI, pp. 638-639 (Papa Martino IV esorta i Riminesi a prestarsi in favore dei Guelfi d'Urbino ricoverati a Sasso Corvaro - 1 aprile 1283) e Franceschini, Documenti n. 68, pp. 68-69 (Il papa si rivolge il 1 aprile 1283 ai Riminesi affinché portino aiuto ai guelfi rinchiusi a Sassocorvaro).

[42]Franceschini, Montefeltro, p. 108. Bricchi, Annali, pp. 191-193, riporta la lettera di papa Martino IV a Cagli, datata Non. Octob. Pont. Nostri anno III (scil. 1283) con cui si esorta i Cagliesi a  fornire vettovaglie e ogni cosa necessaria a Guido di Monforte, che con l'esercito ecclesiastico operava contro Urbino. Vds. anche Tonini, Rimini III, n. CXLVIII, pp. 639-640 (Martino IV loda Malatesta pei soccorsi dati a Guido di Monforte capitano della Chiesa contro i ribelli d'Urbino - n. CXLVIII, pp. 639-640).

[43]Franceschini, Montefeltro, p. 108.

[44]Franceschini, Montefeltro, p. 113.

[45]Franceschini, Montefeltro, p. 121.

[46]Franceschini, Montefeltro, pp. 121 e 163. La tensione tra Malatesta e Pietrarubbia doveva essere in quell'anno rilevante. Vds. Tonini, Rimini III, doc. CL, pp. 641-642 (Frammento di processo contro alcuni seguaci del conte Corrado di Montefeltro, che ebber tramato insidie a Malatesta - ottobre 1285).

[47]Pari, Malatesta da Verucchio, p. 139. Carile, Pesaro, p. 4: "Il castello di Gradara è posto fuori ordine perché sottratto alla giurisdizione di Pesaro dai Malatesta fin dal 1283 almeno, anche se la prima attestazione documentaria della vicenda nota all'Olivieri era il testamento di Malatesta da Verucchio del 18 febbraio 1311".

[48]Carile, Pesaro, p. 40: Gianciotto Malatesta, figlio di Malatesta da Verucchio, "gestì più podesterie, come quella di Forlì nel 1278 e di Faenza nel 1293, nell'ambito dell'influenza politica della sua famiglia e di suo padre; fu podestà di Pesaro più volte, nel 1285, nel 1291 e di nuovo podestà e capitano del popolo dal 1296, secondo il Diplovatazio, al 1304".

[49]G. FRANCESCHINI, I Malatesta, Varese 1973, pp. 52-53; Pari, Malatesta da Verucchio, pp. 155 e 161. Ricordiamo che dietro all'espressione "guelfi" e "ghibellini" non si nascondevano ideali politici ma interessi privati: si apparteneva ad un partito se ciò si confaceva ai propri interessi. "Guelfo" e "ghibellino" erano insomma semplici etichette che potevano addirittura essere talvolta sostituite con una certa disinvoltura.

[50]Pari, Malatesta da Verucchio, pp. 167-170.

[51]Pari, Malatesta da Verucchio, p. 172.

[52]Bricchi, Annali, pp. 163-170. La lettera papale al rettore Giovanni Colonna, con cui ordinava che tornasse a Cagli e demolisse mura e case e risparmisse solo le Chiese, i monasteri e la fortezza e quindi che provvedesse al trasferimento e riedificazione della città, data 1 ottobre 1288, è riportata alle pp. 167-169.

[53]Pari, Malatesta da Verucchio, p. 182.

[54]Franceschini, Montefeltro, p. 123.

[55]Franceschini, Montefeltro, p. 123.

[56]Pari, Malatesta da Verucchio, pp. 173-176.

[57]Pari, Malatesta da Verucchio, pp. 176-183.

[58]Franceschini, Montefeltro, pp. 144-5.  Pari, Malatesta da Verucchio, p. 185. In seguito al nuovo allineamento, Taddeo di Montefeltro-Pietrarubbia si riaccostò a Malatesta da Verucchio contro il fratello Corrado, mettendo a disposizione dei Riminesi  anche i suoi castelli del Montefeltro (pacificazione di Montescudo, 8 ottobre 1293).

[59]Cfr. Franceschini, Montefeltro, p. 145: "Occupata Cagli, non fu difficile ai Montefeltro rientrare a Urbino". Ma per Pari, Malatesta da Verucchio, p. 183, la presa di Urbino precede quella di Cagli.

[60]ANONIMO, Annales Caesenates, in "Rerum Italicarum Scriptores", vol.  XIV, Milano 1729, coll. 1085-1186, alla col. 1109 a-b: Anno Domini MCCXCIV die VIII junii Malatestinus potestas Caesenae cum Caesenatibus, Ariminensibus, et Marchianis obsedit civitatem Urbini, quam tenebat Guido comes Montisferetri, sed non potuerunt aliquam fortiliciam accipere. Majori parte temporis steterunt circa Montem Fabiorum. Caesenates in servitio Potestatis steterunt XIII dies.

[61]Anonimo, Annales Caesenates, col. 1109 d: De captione Pisauri. Millesimo supradicto (1294), die VI augusti comes Gallasus, et Conradus de Monte Feretro cum Urbinatis, et suis amicis, vi acceperunt civitatem Pisauri, quam tenebant Malatesti. In qua captione mortuus fuit dominus Terissius de Urbino, nobilis, et probus vir, et Johannes de Meldula capitaneus stipendiorum de Caesenatibus, et multi alii. Philipputium de Exio, et multos alios ceperunt.

[62]Franceschini, Montefeltro, p. 146.

[63]Amiani, Memorie istoriche, pp. 229-230.

[64]Pari, Malatesta da Verucchio, p. 185.

[65]Anonimo, Annales Caesenates, col. 1110 b-c.

[66]Franceschini, Montefeltro, p. 167. 

[67] DIGARD G (e altri), Les registres de Bonfiace VIII, Paris 1907, I, coll. 250-251.

[68]Franceschini, Malatesta, p. 62.

[69]Franceschini, Malatesta, p. 62; Pari, Malatesta da Verucchio, pp. 195-197

[70]Pari, Malatesta da Verucchio, pp. 205-206.

[71]A. DEGLI ABBATI OLIVIERI GIORDANI, Memorie di Gradara, terra del contado di Pesaro, Pesaro 1775, p. 66. La bolla è riportata dal Tonini, Rimini III, n. CLXXXV, pp. 719-720 (Bonifacio VIII conferisce a Malatesta da Verucchio i beni confiscati a Bernardo de' Bandi di Pesaro - 18 dicembre 1299).

[72]Franceschini, Montefeltro, p. 147.

[73]Franceschini, Montefeltro, pp. 149; 168-172.

[74]Anonimo, Annales Caesenates, col. 1114 e: De religione Comitis Guidonis, et de morte. Millesimo CCLXXXXVI die XVII Novembris Guido comes Montis Feretri Dux bellorum Fratrum Minorum est Religionem ingressus. Currente Millesimo CCXCVIII die Dedicationis Beati Michaelis in Civitate Anconae est viam universae carnis ingressus, et ibi sepultus.

[75]Anonimo, Annales Caesenates, coll. 1116 e - 1117 a: De Destructione Castri Plegae. Millesimo CCXCVIII die XXIX mensis Madii Comes Galassus de Selano cum Caesenatibus, et suis amicis de Monte Feltro, obsedit Castrum Plegae, et vi accepit illud. Bartholinum et Aulivarium filium eius turpissima morte, scilicet affixos in palo, fecit perire; et Tinacium, qui erat de ipsa Domo, et multos alios, gladio fecit interimi, qui ipsius Galassii Comitis erant capitales inimici.

[76]Anonimo, Annales Caesenates, col. 1117 a-b. Taddeo, fratello di Corrado, fu imprigionato il 25 settembre 1299 da uno dei Gaboardi di Macerata Feltria e ucciso in carcere: vds. Anonimo, Annales Caesenates, col. 1118 a: De morte comitis Thaddaei. Millesimo CCXCIX die XXV Septembris .... filius Gaboardi de Macerata cepit, et in carcerem posuit comitem Thaddaeum Novelli de Petra-Rubea. Tandem paucis diebus finitis praedictum Thaddaeum comitem in carcere crudeliter occidit. I figli di Taddeo (di nome Malatesta e Taddeo) ricoprirono varie cariche in diverse città italiani e vennero reintegrati nei loro beni ma  non ricoprirono più ruolo di qualche importanza politica nelle vicende della nostra provincia.

[77]Anonimo, Annales Caesenates, col. 1120 b.

[78]Franceschini, Montefeltro, p. 171. Lombardi., Mille anni, pp. 106-7: "Il 17 maggio 1300, l'anno del primo giubileo, nel convento dei frati minori di Sant'Igne, nel quadro generale della pace di Romagna, si fece anche la pace fra il vescovo Uberto, il capitolo, i comuni di San Leo, Maiolo, San Marino e Talamello, da una parte, e i conti Galasso con i consanguinei Federico e Ugolino figli del defunto Guido da Montefeltro"

[79]Franceschini, Montefeltro pp. 171-2. Anonimo, Annales Caesenates, col. 1120 c.

[80]Aloisi, Sulla formazione, vol. III, pp. 318-319.